sabato 4 febbraio 2012

AGO

Pubblicato anche, e soprattutto, su Smalltownfoggia.net


Domenica 29 gennaio. Più o meno le 2e45 di pomeriggio.In una cittadina dalla lieta pronuncia come Monza, su un campo da calcio che di verde ha ormai solo il ricordo di partite andate, ecco una maglia bianca col numero 11 sulle spalle, e una ben più importante striscia diagonale rossonera sul davanti, che si trova a un metro dalla porta con un pallone da spingere in rete per il più classico dei gol facili: tiro imperfetto, sfera che va dove non avresti voluto mandarla, e portiere spiazzato.
Invece qualcosa va storto. Il numero 11 colpisce di interno collo, come si insegna ai ragazzini. Tira bene, pure troppo. La palla va dove deve andare, proprio lì dove l’aspetta il portiere, che senza cattiveria fa il suo dovere e tocca la sfera, mandandola fuori. Non avrebbe voluto, ma ha un’onestà professionale da preservare, e sui percorsi obbligati di certi tiri lui non può non farsi trovare.
Così il portiere guarda l’attaccante con la stessa bonaria severità con cui un poliziotto guarderebbe l’autista, appena multato, che nei pressi di un posto di blocco ha sorpassato a destra, senza cintura di sicurezza, con il bollo scaduto e un fanale rotto: sarai pure un incrocio tra Saviano e Madre Teresa di Calcutta, ma capisci che non mi hai lasciato scelta.
Kolawole Oyelola Agodirin, il nostro numero 11 in maglia bianca e striscia diagonale rossonera sul petto, in questi due anni di gol così ne ha sbagliati tanti. Forse troppi. Roba da farti uscire di bocca parole come “oh ma cum cazz ha fatt?”, oppure “ma n’do l’hann pigghj’t a stu scarpon’!”, o ancora “no vabbè ij a quist n’u vogghj vedè chiù ind ’u camp!”. Ma spesso i sogni si avverano, e come per magia da domenica AGO in campo col nostro Foggia non lo vedremo davvero più.
Viene da chiedersi dove sia allora l’errore, o il senso di queste righe di saluto. E’ morto per caso questo Agodirin? Ha lasciato dei debiti in qualche locale foggiano? Aveva un ruolo di primo piano nel legame tra lo staff tecnico e la società? Abbiamo per caso perso un talento cristallino pronto a sbocciare in altri lidi? Niente di tutto questo. Però mi spiace, e forse so anche spiegarmelo.
Di gentaglia, sotto il rosso e il nero di questa casacca maledettamente bella, ne ho vista passare parecchia; ho ammirato ottimi giocatori, vecchi faticatori, anonimi tristi meteore, scarponi indimenticabili e stelline dimenticabilissime; ho imparato a non vedere in nessuno di questi una ragione in più per alimentare la mia fede, che è qui e resta, mentre mille altri sono passati e passeranno, lasciando poco più che statistiche e immagini isolate.
A loro, ai calciatori, zingari del nuovo millennio che cambiano anche tre squadre in una stagione e di cui spesso faccio fatica a ricordare i nomi, non dedico mai più di un “ciao”.
Ecco allora dov’è il segreto: AGO mi ha ricordato che ci si può anche affezionare a un calciatore, nel modo più semplice possibile, senza paraculate di nessun genere.
Vederlo correre sempre fino ai crampi, e poi sbagliare, confondersi, cadere e rialzarsi ancora per riprendere a correre, mi ha fatto sentire la dignità della maglia rispettata come se per una volta un coro della curva fosse stato messo in pratica davvero.
Il sacrificio e la voglia di mettersi in discussione, ancor prima delle abilità tecniche. Un sorriso da persona normale, accompagnato a gesti da persona normale, col sottofondo di parole da persona normale. Fuori e dentro il campo.
E poi i gol, che pure li ha fatti. Inutile riportare statistiche.
Ti dico grazie per Benevento: al novantesimo minuto, dopo una gara di corsa e botte, ancora uno scatto di cinquanta metri, un pallonetto docile e un brivido lungo la schiena. Per la vittoria, per il nostro urlo mozzato da uno schermo, per il tuo pianto, di fatica ed emozione.
Ti dico grazie per la trasferta al Flaminio, forse l’ultima vera gioiosa trasferta del popolo foggiano, nonostante quella casacca rossa similbarese: due gol, e il bello di scoprirti uno su cui poter fare affidamento.
Ti dico grazie per il pareggio col Gela: per essere scappato più forte dei difensori siciliani inferociti.
Ti dico grazie perché sarai pure scarso, ma era da tanto che non vedevo qualcuno stendersi a terra in lacrime con la mia maglia. E poi rialzarsi e sorridere. Buona fortuna AGO. Buon futuro.