martedì 15 febbraio 2011

LA SERA IN CUI INIZIO' LA STORIA MINORE

Rimini, 12 aprile 2000. Sono passate da un po' le 9 di sera, e stupidi ragazzini in gita di terza media sono rinchiusi nelle loro stanze d'albergo a guardare una puntata, pare eccezionale, di quel fagocitatore di turbamenti adolescenziali che è stato "Dawsons's kreek". Vago per i corridoi e vedo il vuoto. Qualsiasi forma di vociare è stata completamente annullata dall'estasi prodotta dal telefilm nei suoi attentissimi telespettatori. Scendo piano le scale come una principessa attesa in sala; ma sono solo uno stronzo che si sta godendo la più beata delle solitudini, attraversando lo spazio indecifrabile del silenzio. E così, calmo e rilassato, arrivo nella hall.

Messa lì in disparte, in un angolo, davanti a pochi indistinti osservatori, una tv trasmette una gara di coppa Italia (il trofeo che poi qualcuno ha deciso di rinominare TimCup, pur sapendo che tutti avrebbero comunque continuato a chiamarla coppa Italia): è Lazio-Inter, finale di andata.
La Lazio è quella di Sven-Goran Eriksson, quella zeppa di campioni regalati a suon di debiti da Cragnotti, che vincerà parecchio in quel biennio di fine anni '90. L'Inter è invece la triste Inter di Marcello Lippi, quella che ha strappato Christian Vieri proprio alla Lazio per circa 90mld di lire, e che alla fine di quell'anno finirà quarta solo per quelle due splendide punizioni con cui il divino Roby Baggio decise lo spareggio di Verona col Parma.

Non ricordo assolutamente nulla di ciò che vidi in quella partita prima e dopo il 58' minuto. Per me esiste solo quel frangente, che oscilla tra i sessanta e gli ottanta secondi. Quel frangente in cui, per la prima volta nella mia vita, ho sofferto per le lacrime di un uomo ricco e famoso. Era Luìs Nazàrio de Lima. Era Ronaldo. Era "il Fenomeno".
Rientrava dopo alcuni mesi, da un duro infortunio. Al primo scatto tentò subito una finta, un gesto atletico che per lui era naturale come lo è per me pisciare, e finì subito per terra. Il tendine rotuleo non aveva retto lo sforzo, si era rotto. Le immagini della rotula fuoriuscita dal ginocchio fecero subito il breve giro delle mie sinapsi. Quello che, circa un anno e mezzo prima, sembrava una forza sovrannaturale, al 58' minuto di Lazio-Inter divenne un ragazzo rotto nel fisico e nell'animo.
Non lo compatii come ragazzo infortunato, ma in quanto campione fermato in modo crudele da un destino invidioso. Ero triste perché capivo che, dopo quei drammatici secondi, Ronaldo non sarebbe stato più Ronaldo.

Prima di quel momento era stato tutto ciò che il calcio può essere. E anche di più. L'impensabile che si affaccia alle porte del quotidiano. La forza vestita con l'abito della classe sopraffina. L'utile e il dilettevole. La paura che un giocatore potesse esserci, ma ancor di più quella che potesse non esserci. In sintesi la gioia per questo sport quando a praticarlo sono quelli che non si possono fermare e marcare in alcun modo. Quelli che bisogna solo ammirare.
Gli ultimi gol con l'Inter; i tanti belli e importanti col Real Madrid; il Mondiale in Corea e Giappone vinto da protagonista: nessun trofeo, nessuna prodezza, niente ha restituito ciò che è stato spezzato in quella calda serata di aprile. 

Quelli che contiamo oggi sono dati, numeri, dettagli buoni per la storia minore. Ma la storia minore riguarda i grandi uomini, non gli uomini fuori dal comune. Per loro, per i fuoriclasse, non valgono le categorie di spazio e tempo. Per loro vale solo quella sensazione di eterna superiorità lasciata in un attimo negli occhi di chi li ha visti giocare.
E l'idea che se dio fosse stato un giocatore, avrebbe giocato così.

(In questa foto Ronaldo ha in testa quello che ho sempre sperato potesse essere un fotomontaggio)

lunedì 7 febbraio 2011

VADO, LO SEGNO E TORNO (sennò il mister mi cazzia)

Certe volte la vita è monotona quasi quanto una partita di serie A. Si vorrebbe fare di più, avere di più, dare di più, magari senza dover citare per forza la canzone di Tozzi-Morandi-Ruggeri. E invece si è costretti a restare sui soliti pezzi e sulle solite battute, la solita musica, i soliti cibi, le solite figurine e i soliti gol.
Fino a che qualcuno non si decide a dire "basta": il troppo è troppo, soprattutto il troppo noioso. Bisogna andar via, partire. Allora si preparano i bagagli e ci si va a mettere in discussione in altre zone della terra.

La gente di cui parlo io in verità non è che si sposti poi così tanto dal luogo d'origine, diciamo sessanta metri al massimo. Ma la misura in questione è a dir poco obbligata e fondamentale: i sessanta metri sono infatti la distanza che più o meno tutti i difensori (tranne quelli delle squadre di Zeman, a cui bastano solo una decina di metri..) devono percorrere per arrivare alle soglie della porta avversaria e provare a fare ciò che non gli è dovuto e che quindi, come ogni azione riuscita e non dovuta, rischia di trasformare un istante in un'immagine indimenticabile: segnare un golEntrare finalmente nel tabellino dei marcatori, lì dove regnano quelli che la storia del calcio tramanderà come gli uomini davvero decisivi. Perché le verba delle belle prestazioni volant, ma gli scripta delle statistiche manent.

Arriva così il momento in cui il difensore, stanco dell'anonimato del suo "lavoro d'esperienza" (ossia menare l'attaccante sperando che l'arbitro sia in pausa caffè, o meglio ancora che sia Morganti), vìola quelle legge non scritta che lo vorrebbe soltanto muro di cinta dell'area di rigore, se ne frega di tutto e di tutti, e si avvia verso l'area avversaria per vedere se è davvero così bella come dicono i suoi compagni attaccanti.
Arrivato lì, e passata l'emozione iniziale, si mischia a testa bassa nella folla e fa perdere le tracce di sé approfittando del fatto di non essere nella lista degli invitati. Il portiere e i difensori padroni dell'area, incuriositi dalle facce nuove, si rivolgono allora agli attaccanti avversari per chiedergli: "Ma quel tizio chi è? E sopratutto chi l'ha invitato?". Gli attaccanti però fanno spallucce: "Non lo sappiamo, è uno che ci ha seguito con la macchina. Lo conosciamo di vista, nulla più.."
La sottovalutazione è una delle chiavi della gloria. E il nostro eroe per caso è lì in area di rigore con uno stimolo in più degli altri: provare una sensazione che raramente gli potrà capitare ancora. La tenacia lo accompagna; le marcature a uomo, la zona e le uscite aeree del portiere sono rituali di sola apparenza che non lo spaventano per nulla. Il destino è quasi scritto, manca solo la firma. "Vaffanculo tutti: adesso segno io!.."
Chissà, forse nessun difensore ha mai pensato a tutte queste cose prima di realizzare un gol. O magari si. Potremmo chiederlo agli eroi improvvisati di quest'ultima domenica, tre difensori centrali: Bostjan Cesar del Chievo Verona; Daniele Portanova del Bologna; Simone Loria della Roma.

Il primo, sloveno quasi trentenne alla prima stagione in Italia e già a quota tre gol in campionato, è stato autore della zampata che ha permesso al Chievo di pareggiare il gol della Lazio, firmato da Hernanes, in una partita che la sintesi di SkySport ha descritto con ben quattro azioni. Una partita da "vietato ai minori" insomma.
Il romano Portanova invece, pilastro arretrato del Bologna, col suo tap-in a porta sguarnita (atto apparentemente banale, ma che ha regalato, e continua a regalare ai programmi sul calcio tanto materiale comico..) è stato addirittura decisivo, avendo siglato il gol che ha permesso di battere quel Catania che dimostra domenica dopo domenica quanto fossero grossolane le colpe dell'ex allenatore Marco Giampaolo, esonerato perché pareggiava troppo. Infatti ora il Catania perde soltanto
Quindi c'è la meteora romanista Loria, che forse è un po' meno eroe per caso, visto la discreta quantità di gol (40!) segnati in carriera, ed è un po' di più un difensore della Roma per caso. Il livello di competitività della squadra non lo dovrebbe infatti veder titolare neanche nell'eventualità di un attacco congiunto di cacarella a Mexes e Juàn, che restano più affidabili anche con le mutande sporche. Eppure domenica sera contro l'Inter, ritornato improvvisamente prima in panchina e poi in campo, Simone ha lasciato il suo segno tra i marcatori, pur senza servire a un risultato positivo dei giallorossi.

Ma è il gesto che conta: strappare una pagina a un copione già scritto.

(Qui Eto'o mentre spiega allo sloveno Cesar i trucchi di un grande attaccante)

mercoledì 2 febbraio 2011

TORINO VAL BENE UNA CESSA - (SOTTOTITOLO: "CAPITEMI")

A pochi minuti dal suo esordio in bianconero nella gara di Palermo, rammento di pubblicare la lettera di commiato scritta da Alessandro Matri ai tifosi cagliaritani dopo l'ufficializzazione del suo trasferimento alla Juventus, avvenuto nelle ultimissime ore di questo mercato di gennaio.
Eccovi la commovente testimonianza:

"Capitemi. Il mondo del calcio è fatto anche di queste cose, non solo di soldi e di bella figa. E' fatto anche di scelte dolorose, di tradimenti improvvisi. Ma questo non significa che dobbiate giudicarmi male. Ci sta di pensare ai soldi, non sono mica san Francesco d'Assisi?! Poi voi avrete una pensione fra quarant'anni, io no! E se anche non l'avrete potrete sempre arrangiarvi, mentre io avrò più difficoltà essendomi abituato a standard di vita parecchio alti.

Capitemi. I quattro anni trascorsi a Cagliari sono e resteranno un passaggio fondamentale per la mia crescita calcistica e umana, ma a soli 26 anni rischiavo di ritrovarmi davvero troppo cresciuto! Con questa maturità a cosa avrei mai potuto aspirare nel mondo del calcio, se non ad essere stimato per una carriera onorabile?! Per voi è semplice nominare la maturità...ma qui se inizi a crescere finisci isolato, negli spogliatoi non riesci a parlare più con nessuno, gli altri giocatori ti evitano perché non ti capiscono E io volevo evitare tutto questo.
Capitemi. Dal punto di vista professionale è una scelta che non fa una grinza. Quando mi sarebbe più ricapitata l'offerta di una grande squadra qual è la Juve?! A giugno starete pensando voi, e forse avete ragione.

Ma come si può non andare a gennaio in una squadra allo sbando, attualmente persino fuori da un piazzamento in Europa League nonostante le ambizioni estive di scudetto, senza uno straccio di gioco, con una media infortuni da guerra civile, un ambiente in cui sta maturando aria di contestazione, e un finale di stagione che vede come massimo obiettivo raggiungibile il quarto posto, visto che son state già salutate sia le manifestazioni europee che la Coppa Italia?!

Capitemi. E poi il gessato mi ha sempre donato.

Il vostro Alessandro"

(Un tifoso del Cagliari che ha capito le ragioni di Matri)

martedì 1 febbraio 2011

IL MERCATO DI RIPARAZIONE, I PRIMI E UN PAREGGIO

Siamo a casa di una famiglia come tante, all'ora di pranzo. C'è la mamma che porta il piatto a tavola: bastoncini di pesce. Il marito un po' si stizzisce, ha fame e vorrebbe qualcosa di caldo e nutriente invece di quelle porcherie congelate. Ma la mogliettina gli rivela che aveva solo zucchine e patate, e che con queste non sa cucinare alcunché, quindi ha dovuto ripiegare sul congelato di riserva. Allora il papà, parecchio contrariato, da' del denaro al figlio e gentilmente gli chiede di andare alla tavola calda sotto casa, che tanto è sempre aperta, a prendergli un primo piatto sostanzioso e dignitoso.
Siamo al giorno dopo, sempre pranzo, sempre la stessa casa, sempre la stessa mamma che rifila davanti agli occhi del marito una bella portata di cordon bleu da ristorante in odore di fallimento. L'uomo di casa è quasi sconvolto, ma la dolce mogliettina non batte ciglio: è vero che il marito le aveva comprato un bel po' di pesce fresco già pulito, ma lei non lo sa cucinare, non gli viene bene. Ed ecco che ha preferito evitare. Intanto papà bestemmia in polacco e, mentre conta i santi del giorno, allunga un mano verso la sedia del figlio con dentro i soldi per il solito primo di quella tavola calda che fa orario continuato. Ma la sedia è vuota: il figlio è già alla cassa del locale a pagare. Lui ha bestemmiato scendendo le scale.

Ora riflettiamo: invece di continuare a buttar via soldi per pranzi sostitutivi, approfittando di una tavola calda senza limiti d'orario, per il papà non sarebbe forse meglio far aggiornare una volta per tutte la cara mamma su un menù minimo di primi piatti fatti di cibi essenziali?! O almeno di quei cibi di cui la stessa è circondata nelle dispense della cucina?!
Continuando a spendere per rimediare, grazie a un locale che fa le veci della cucina originale, non si da' poi adito alla mamma di ritenere che la presenza di quella tavola calda sia un ottimo alibi per la sua incapacità di arrangiarsi ai fornelli con ciò che ha a disposizione?!
Senza la protezione della tavola calda che aggiusta sempre tutto, la mamma non sarebbe forse più stimolata ad imparare a fare la spesa in base alle sue competenze e alle sue capacità culinarie?!

Siete d'accordo o avete comunque chiaro in testa il mio ragionamento? Bravi, mi rallegro. Adesso però dovete dirmi come avete fatto a non capire, sempre se non l'avete capito, che stavo parlando di calcioEra alquanto palese.
Per comprenderlo basta sostituire alla parola "mamma" il termine "allenatore", alla parola "papà" il titolo di "presidente", al nome "tavola calda" il sintagma "calcio-mercato di riparazione", al lemma "figlio" la voce "direttore sportivo in giro a elemosinare colpi di genio", quindi alla parola "bastonicini di pesce" la figurina dei giocatori della Juventus scesi in campo domenica sera a Torino contro l'Udinese. Ed ecco che il gioco è fatto.

Se tu fossi un buon allenatore cercheresti di cavare il meglio da quello che hai, e non t'aspetteresti uomini della provvidenza ma al massimo scelte oculate per migliorare meccanismi già rodati.
Se tu fossi un presidente serio non butteresti denaro, appena il mercato te lo permette, per scambiare figurine con altri presidenti idioti, sperando così che nella bagarre delle trattative i tifosi si scordino del fatto che a luglio, quando si doveva e si poteva fare un buon lavoro, si è lasciato spazio alle chiacchiere e alle copertine invece  di lavorare seriamente.
E sempre se tu fossi un presidente serio pretenderesti dal tuo allenatore il miglior lavoro possibile col materiale tecnico a disposizione. Perché a fare liste della spesa son bravi tutti, persino Mancini e Capello.

Ma se tutto ciò non fosse esistito, io oggi di cosa avrei scritto? Lo so: avrei scritto di quanto è stata brutta Milan-Lazio, la sfida tra la prima e la terza del nostro campionato. Un pareggio senza reti, scialbo e vuoto di contenuti come un commento di Galeazzi. Fortuna che c'è il mercato di gennaio allora..

(In questa foto Ranieri è così impegnato a invidiare gli acquisti di gennaio di Milan e Inter, che non si accorge della pallonata che sta per ricevere)