sabato 31 marzo 2012

IN MEMORIA DI FRANCO. DEI MIEI RICORDI E DI UN TEMPO ANDATO



Lo ammetto, ho paura dei ricordi. Non sai dove ti portano, si rinnovano col tempo quasi fossero documenti da ricertificare, ed ogni volta che li ripensi si caricano di significati nuovi indecifrabili. Così quelle che noi crediamo fotografie fisse, in realtà sono canzoni ogni volta riarrangiate. Cambia il sound, e le parole e le immagini prendono un senso sempre diverso.

Quanti anni avevo nel 1989, prima della caduta del muro sovietico di Berlino e poco dopo i tuoi festeggiamenti di Trapani per una serie B mai tanto desiderata? Pochi, pochissimi.
E due anni dopo, nel '91, quando gli Usa avevano già dato la loro lezione a Saddam Hussein, e il giocatore con i piedi e la mano più forti del mondo fuggiva da Napoli per aver tirato coca nel momento sbagliato, e tu, dopo un Foggia-Triestina 5-1, giravi il perimetro del campo portando quel telo enorme con sopra disegnata una "A" che voleva dire "Aspettateci, stiamo arrivando"?
E ancora quanti ne avevo nel '92, a maggio, due giorni dopo che il tritolo di Capaci sbattesse in faccia a tutti la realtà di uno Stato sotto ricatto mafioso, e tu festeggiavi la fine di una grande stagione con un assurdo pallonetto a Van Basten e ben otto palloni raccolti dentro la porta, belli come otto schiaffi presi per risvegliarsi da una lunga dormita, aprire gli occhi e scoprire che comunque è domenica. Ed è festa.

Ecco, Franco, tu per me sei stato la domenica. L'adrenalina ineffabile che mi dilatava gli occhi quando sentivo odore di stadio, il profumo dell'erba, la puzza delle sigarette mai tanto amate, il conto alla rovescia per la messa che pareva non finire mai in una chiesa dove l'altare era la porta, e i miei sogni delle punizioni destinate a finire sempre sotto l'incrocio dei pali. Il tempo che si fermava perché undici casacche rossonere erano pronte a far rotolare una sfera bianca in quello che è stato e resterà il mio unico e solo teatro.
Ed io, ad occhi sempre spalancati, fissavo tutto, anche i dettagli più stupidi, perché sapevo che tutto avrei voluto ricordare di quelle ore che valevano una settimana. Niente avrà mai il fascino di uno stadio pieno che celebra i colori che ha addosso. La festa di una città che la domenica si ricordava comunità. E tu, dalla porta, ultimo baluardo e primo fuoco di quella macchina infernale.

La chiamavano bolgia, ma bolgia non sarà più. Nessuna coppa, promozione o vittoria restituirà mai a un bambino ciò che le tv, la politica e le banche hanno intanto sventrato. Oggi si banchetta e si brinda sulla carcassa di uno sport che era la vita di un popolo, che ti legava e ti faceva sentire legato. Ora invece si cerca di salvare il salvabile, ma un mondo è stato stravolto, e con esso anche i suoi ricordi.
Allora la vittoria che valeva 2 punti, il biglietto su carta normale che solo una fila enorme poteva strapparti, la tosse per quel fumo colorato, i rotolini bianchi a fondo campo, l'arbitro tutto di nero, gli striscioni liberi, i seggiolini occupati e la gente in piedi, nessuna telecamera a fare la spia, i tifosi avversari, mio padre, mio zio e mio cugino grande, i cambi di settore allo stadio che scandivano le fasi della crescita. E poi le maglie, dall'1 all'11. Perché il nome e il numero fissi sulla maglia servivano solo per il marketing.
Mentre tu, Franco, eri già, sei stato e sarai comunque il nostro "numero uno".

Adesso anche i ricordi più belli sono declinati con tristezza, perché attorno tutto è cambiato. E forse anche dentro. Ma so che quelle immagini resteranno per sempre, e sono loro debitore perché mi permettono di stare qui a scrivere un saluto a un uomo che non ho mai conosciuto direttamente, e a un calciatore che ho celebrato meno di altri venuti dopo, probabilmente più scarsi, certamente dimenticabili.
Insomma, piccolo in un mondo di giganti, forse non c'ero abbastanza, ma c'ero.  Quanto basta per ricordarmi di un Foggia-Sampdoria, anno '93. Finì 1-0 per noi, con il loro portiere (il famoso "secondo" Nuciari) che lisciò clamorosamente un rinvio regalandoci la vittoria.
Si vede che loro non hanno Franco Mancini. Pensai.