martedì 8 luglio 2014

WarCup '14: BRASILE-GERMANIA 1-7

BRASILE-GERMANIA 1-7
ovvero
UNA BATOSTA È SOLO UNA SCONFITTA

Nell'epoca del pathos preconfezionato, ogni azione, ogni parola, ogni immagine, la più quotidiana, viene costantemente elevata a evento, per qualche minuto, prima di soccombere e venire dimenticata. Per poi essere ripescata, settimane o mesi dopo, e poi ricadere nell'ignoto della memoria.
Capita, in questi anni pompati, capita nella vita, e capita pure nel calcio. Ho letto stasera frasi del tipo "Addio al mito di Italia-Germania 4-3. La partita più famosa della storia dei Mondiali s'è giocata stasera" (T. Labate). Oppure: "Scriveremo e parleremo di questa partita finché esisterà questo sport" (F. Costa).
Niente di più falso.

Il Brasile stasera ha perso, né più né meno di come si perdono le partite a calcio. Sette gol, o uno, sono solo facce diverse di una stessa medaglia. Il resto va di conto a chi costruisce parabole e paragoni su uno sport che è sempre stato più contenuto che rappresentazione, ed ora si ritrova gestito e trattato come un telefilm, come una di quelle serie tv americane che da qualche anno vanno tanto di moda.
La semifinale dell'Azteca di Città del Messico resterà per sempre tra le sfide più ricordate perché fu innanzitutto una partita di calcio speciale, soprattutto per l'epoca: lenta, noiosa, combattuta, poi con repentini colpi di scena, e il trionfo finale tra la stanchezza e il delirio notturno degli italiani.

E quell'altro: "parleremo di questa partita finché esisterà questo sport"? Una puttanata. Ve lo giuro. C'è qui una visione quasi analfabeta della storia di questo sport, lì dove la grandezza non è vista nel confronto tra i gesti atletici, le prodezze e le reazioni dei protagonisti in campo, quanto appunto nella loro costruzione, nella possibilità di poterne scrivere la fiction.
Ebbene: io, di questa passeggiata della Germania sui resti di una Seleçao troppo brutta per essere vera, non saprei proprio che dire. Quale coordinazione alla Van Basten in Olanda-Urss dell'88, quale controllo di palla alla Pelè in Svezia-Brasile del '58, quale delle tante illuminanti invenzioni di Maradona dell'86, quale mancata marcatura tipo Rivera sul palo alla sinistra di Albertosi nel '70 potrò raccontare ai miei nipoti dalla semifinale di stasera?

Nulla, forse solo il record di Miroslav Klose, che col 16esimo gol ha sostituito Ronaldo il fenomeno quale miglior bomber nella storia della Coppa del Mondo.
Senza il gol-non gol di sir Geoff Hurst, nessuno forse ricorderebbe Inghilterra-Germania del '66; come quasi nessuno ora ricorda il 4-0 dei tedeschi all'Argentina nei quarti di Sudafrica 2010; come in pochi (paradosso) ricordano l'Argentina campione del '78, preferendo citare la forte Olanda sconfitta 3-1 ma due volte finalista nell'era del "calcio totale".

Forse mi sono perso, forse per qualche birra di troppo. Volevo dirvi che non è il numero di gol, non è il frame, non sono i commenti, non è lo sgomento a decifrare la portata di un errore, di una sconfitta.
Sono i piccoli gesti, gli episodi macroscopici ed insignificanti, le sfumature sbagliate lì dove sembra essere tutto preciso, a fare la differenza.
Oggi è finita 7-1, ma è come se fosse finita 0-0, e il Brasile avesse perso ai rigori. Anzi soffriranno di meno, forse a quest'ora hanno già smaltito. Le batoste sono perfette per dimenticare in fretta.


"Ne voglio 7"

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