lunedì 16 luglio 2018

Questi grandissimi Mondiali 2018: cosa me ne faccio dei prossimi quattro anni?

finale, Francia-Croazia 4-2
Stadio Luzhniki (Mosca), 15 luglio

Al triplice fischio, quando la pioggia accennava a trasformarsi in diluvio, anticipando quello di cazzate che di lì a poco sarebbe esploso inondando gli spazi di discussione, presunta o reale, su chi avrebbe storicamente meritato di vincere i Mondiali, se la Francia blablabla di Mbappé e Pogba degna vincitrice o la Croazia blablabla di Mandzukic e Perisic degnissima sconfitta, valutando storia, virtù morali, appartenenze ideologiche, rappresentanze politiche, competenze tattiche, qualità tecniche, abilità programmatiche, e l'acqua scendeva sempre più copiosa dal cielo come i presidenti delle tribune, allora ho pensato che la cosa più bella del Mondiale è la sua spietata soluzione temporale. Quel silenzio che cade come una mannaia al fischio finale e che, appena un minuto dopo, fa partire in sordina l'edizione successiva. È già il 2022: che ne sarà di me tra quattro anni? quale rapporto avrò con il calcio? resterò ancora incantato davanti al sogno dorato della più bella tra le coppe? sentirò sempre il bisogno di farmi testimone inaffidabile dell'evento per 40-50 lettori soprattutto parenti? Ma soprattutto: cosa ne sarà dell'immensa classe di Luka Modric?

Luka Modric, in silenzio, mentre Pogba ruba meritatamente la scena, mentre Mbappé comincia a ritirare alla cassa la gloria del predestinato, mentre Deschamps si prende una rivincita, mentre la presidente croata abbraccia tutti, mentre i suoi compagni di squadra a scacchi bianchi e rossi celebrano giustamente il risultato stupefacente di un torneo che stava per diventare storico.
Luka, un ragazzo delle forme minute ed esili che pare dover affondare da un momento all'altro, ma nella realtà trascinatore dominante, tosto nei muscoli e all'avanguardia negli spazi che sembrano ideati per i suoi piedi. Un uomo dal pallore di un bambino sperduto, e dalle gote scavate di un vecchio, con al braccio la fascia da capitano. Un taglio di capelli non più concepito dall'establishment pallonaro. Un alone di scarsa appariscenza che lo costringe spesso a tirar fuori colpi di visibile genio come cavie evase da un labirinto. Un numero 10, il numero 10 del Real Madrid, la squadra più titolata del pianeta. Il leader di una nazionale, la Croazia, che gioca bene ma che è evidentemente legata per necessità ai suoi movimenti, ai movimenti di Luka, che poi sono i movimenti della palla.


Il Pallone, appunto, quello d'oro del Mondiale, indiscutibilmente suo. Al termine dell'atto estremo tiene in mano il trofeo, brutto invece questo, per i fotografi, e all'interno dei ciuffi che accompagnano le tempie si scorgono due occhi che potresti dipingerci o scriverci un pezzo di storia del calcio, se solo ne fossi capace. Non di dipingere o di disegnare, ma di tuffarti, senza mortificanti paraventi mentali, io, noi, tutti, negli occhi di quel bambino che gioca immensamente bene a calcio.
Perché i bambini giocano a calcio, gli adulti lo vincono o lo perdono. Ma fra quattro anni Luka potrebbe essere troppo vecchio per essere adulto, e forse anch'io.

mercoledì 11 luglio 2018

Questi grandissimi Mondiali 2018: la Croazia in finale e la foto di un Paese in crisi

Ho oscurato due quarti di finale e la prima semifinale, i ritmi antichi non li reggo più. Invecchia tutto ed invecchia anche il blog. «Tempo corri con me», potremmo dire, parafrasando Giorgio Canali. Avevo lasciato con il Brasile beffato dal Belgio, che nel frattempo è stato beffato dalla Francia nella prima semifinale e dovrà quindi giocarsi la finalina per il terzo posto contro l'Inghilterra, che ai quarti ha beffato la Svezia ed oggi però si è arenata (beffardamente, ovvio) con un po' di sorpresa davanti all'ostacolo Croazia, vincente di rigore contro la Russia (beffata) ai quarti e finalista quindi di questa Coppa del Mondo Fifa 2018.

semifinale, Croazia-Inghilterra 2-1 d.t.s.
Stadio Luzhniki (Mosca), 11 luglio

La Croazia ci piace, però non ci piace. Insomma, calcisticamente parlando, la nazionale a scacchi in poco più di due decenni ha messo in mostra tanto bel materiale, con picchi di tutto rispetto (si pensi al terzo posto di Francia '98) se rapportati alla giovane età della selezione del piccolo stato post-jugoslavo. Storico serbatoio di talento tecnico da cui i croati hanno naturalmente, e giustamente, attinto, per costruirsi una storia pallonara decisamente più fortunata di quella degli odiati rivali serbi. E qui il discorso aprirebbe un nuovo sentiero, lungo e contaminato di possibili falle logiche e storiche tutte personali, attraverso cui comunque arrivo alla sintesi di una cattivissima considerazione del sentimento identitario e nazionalista di quelle zone (croati su tutti), velato di legami troppo espliciti con il fetore fascista. Forse non esiste un buon patriottismo, non ho gli strumenti per dirlo, ma restiamo sulle opinioni personali così posso rivendicare serenamente quanto mi faccia schifo quello croato.

Premessa per nulla fondamentale a parte, la gara è stata un manifesto più che degno del godibilissimo torneo che è stato questo russo. A partire dall'alone di sorpresa (saluti all'Inghilterra favorita) e dall'elemento del ribaltamento, che ha accompagnato come una costante quasi tutti i match.
A proposito degli inglesi, forse meriterebbero un trattamento migliore, nonostante la sconfitta e l'esagerato livello di convinzione con cui hanno approcciato alla sfida contro i più deboli e stanchi croati (sulla carta). I Tre Leoni in fin dei conti giocheranno tutte le gare di questo Mondiale e, nei loro panni, immaginare di avere la finale in pugno sarebbe stato tutto fuorché un atto di presunzione. A maggior ragione essendo andati in vantaggio dopo appena cinque minuti di gioco grazie alla bella punizione di un brutto cognome: Trippier.
Il gol ha pure "messo le ali", come si dice in gergo paracadutista, alla squadra di Southgate, ma i suoi ragazzi terribili hanno usato il resto del primo tempo per far capire che avrebbero potuto colpire in qualsiasi momento, purtroppo però non ne avevano voglia. Questa è una spiegazione, l'altra è che i vari Kane, Sterling e Lingard non abbiano avuto le palle per accanirsi su una Croazia apparentemente allo sbando.



Ma l'apparenza, lo sa persino Salvini, inganna. La formazione di Dalic, con poco garbo e concetti chiari, si butta in avanti a testa in giù, come si dice certe volte sempre nel gergo dei paracadutisti. Modric e Brozovic cuciono il gioco, Rakitic e Rebic occupano al meglio il campo, il primo con la testa e il secondo più con la foga agonistica, Mandzukic sgomita e si fa largo tra alte leve di Sua Maestà, ma chi fa saltare il banco è Ivan Perisic che al 68' crede seriamente di poter rubare la palla a un sicuro colpo di testa inglese e allora alza il suo potente tronco sinistro arrivando con la suola lì dove il difensore crede non ci sia nessuno, rischiando di decapitarlo, ma legalmente, e toccando la palla quel tanto che basta per battere l'incolpevole Pickford (che bello scrivere "incolpevole" prima del nome di un portiere).
Lo stesso Perisic, poco dopo, si esibisce in un doppio passo con tiro di sinistro e palla che si stampa sul palo. Si va ai supplementari con l'Inghilterra che sembra inspiegabilmente alle corde, e la sensazione viene confermata al minuto 109' quando sempre Perisic colpisce di testa a casaccio un rinvio della difesa inglese, Stones si distrae pensando forse a quanto è assurdo e pericoloso che uno stupido come Bonafede faccia il ministro, e Mario Mandzukic si avventa sulla palla facendo quello che da sempre gli riesce molto naturale: segnare, semplicemente, quando serve. Poi nell'esultanza lui ed i suoi compagni travolgono un fotografo che, pur gettato a terra e quasi calpestato, a suo rischio e pericolo, non smette di lavorare e continua a scattare. Immagine degna delle disonorevoli condizioni sociali del Paese da cui scrivo: ossia l'Italia, la più beffata di tutte.



sabato 7 luglio 2018

Questi grandissimi Mondiali 2018: le sconfitte non hanno padri, l'Uruguay sì

quarti di finale: Uruguay-Francia 0-2
Stadio Nizhny Novgorod (Nizhny Novgorod), 6 luglio

Con enorme dispiacere constatiamo l'eliminazione dal Mondiale della Nazionale più compatta, più squadra, più attaccata alle proprie origini, insomma più nazionale di Russia 2018: l'Uruguay.
L'assenza di Cavani si è rivelata, come ipotizzabile, troppo pesante per gli uomini di Oscar Washington Tabarez, dotati di un'ottima difesa e di un centrocampo davvero promettente, con Torreira e Bentancur destinati a più che buone carriere, ma in avanti troppo votato esclusivamente all'esplosività e alla generosità di un Suarez isolato e male accompagnato da un Stuani che pareva essere capitato lì per caso.
Nonostante tutto, per sbloccare la gara serve un piazzato: colpo di testa su calcio di punizione dalla fascia, con Varane che anticipa Stuani, ma stavolta è più bravura del francese che non errore dell'uruguagio. Passa non molto e Lloris compie una parata miracolosa su colpo di fronte di Caceres. La Celeste resta in partita come si resta in una storia d'amore quando non la si dà ancora per persa, e si lavora centimetro dopo centimetro a recuperare lo svantaggio. Quella fase bellissima e disperata in cui scegli di dare tutto, ma basta una cazzata e ti giochi l'amore, l'umore  e il Mondiale. Allora ecco Muslera su tiro di Griezmann, poco altro da aggiungere. 
Mentre la Francia se ne va in semifinale, direi anche meritatamente per valori tecnici complessivi, salutiamo il Maestro Tabarez, da oltre un decennio anima e mente della massima rappresentazione futbolistica d'Uruguay, generale inattaccabile, scheletro ammaccato ma pulito, lezione quotidiana.

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quarti di finale: Brasile-Belgio 1-2
Kazan Arena (Kazan), 6 luglio

La disfatta brasiliana si tinge ormai di un tono sbiadito, coperto dall'evidenza di come non faccia ormai più notizia un'inaspettata caduta prima del tempo della Selecao in Coppa del Mondo. Dall'ultima vittoria (2002), il massimo risultato raggiunto è stato il quarto posto dello scorso campionato mondiale, giocato però in casa ed indelebilmente macchiato da quell'1-7 in semifinale con cui la Germania ha calpestato un pezzo di storia del calcio all'ombra del Cristo Redentor.
Ieri sera il Brasile non ha demeritato nel complesso, ha avuto delle occasioni (tante all'inizio, qualcuna isolata nel finale, dove ha brillato soprattutto il volo di Courtois su tiro di Neymar), ma non è sembrati mai, nemmeno durante il forcing finale, quella squadra che impone il peso della propria superiore tradizione calcistica, ancor prima che dell'elevato tasso tecnico di cui dispone o della vocazione (il centrosinistra italiano direbbe "maggioritaria") alla vittoria come obbligo naturale.
Il Brasile non ha sempre vinto, anzi. Dopo il trionfo ultimo di Pelé, datato 1970, ha impiegato ventiquattro anni per tornare sul tetto del mondo. Adesso però la storia racconta qualcosa di diverso: non mancano i campione, quelli Tite li aveva, e in campo la selezione aveva dei propri concetti di gioco; a mancare pare sia proprio il peso della casacca sul risultato, quel condizionamento di base, la paura di incontrare il Brasile.
Non che il Belgio non abbia avuto rispetto, e non che la nazionale di Martinez fosse avversario facile. Hazard si è dimostrato un grande giocatore, Lukaku ha fatto la differenza, De Bruyne nel suo ruolo è tra i migliori del pianeta pallonaro, di Courtois abbiamo detto, il resto è attualità calcistica nota a tutti, i diavoli fiamminghi dispongono forse della migliore generazione di talenti mai avuta. Ma l'impressione è che non sia stata una vera fatica, per questo Belgio, battere in cinque volte campioni del mondo.

venerdì 6 luglio 2018

Questi grandissimi Mondiali 2018: la verità, ti prego, sugli ottavi

Quante emozioni, ragazzi! Capovolgimenti, sorprese, pianti, dolorose prese di coscienza, saluti inaspettati. E il bello è che tutto questo, mentre accadeva, succedeva anche ai Mondiali in Russia.
A parte le cazzate, i primi quattro match degli ottavi di finale sono stati un vero spettacolo pirotecnico con quanto di più bello possa accadere in un campo di calcio. Anche bellissime oscenità, eh. Pensate all'Argentina.

Francia-Argentina 4-3
Kazan Arena (Kazan), 30 giugno

Si potrebbe dire tanto della debacle dell'Argentina, ma molte non me le ricordo perché sono passati quasi due giorni, e molte altre sono state già dette perché ormai sono passati quasi due giorni. Ma poiché l'espressione è una forma di ostinazione, vale comunque la pena buttare qui qualche considerazione. Una su tutte: la Francia è una squadra, con molte grandi individualità; l'Argentina non è una squadra, e ha schierato parecchie mezze seghe. Mercado (nonostante il gol), Tagliafico, Perez, Pavon, poi Meza, Mascherano bollito, nessun attaccante fino all'ingresso di Aguero. Eppure era riuscita a recuperare il rigore di Griezmann e andare in vantaggio. Poi la magia al tiro dell'illustre carneade Pavard e la doppietta dell'imprendibile Mbappé hanno schiantato con la dovuta cattiveria gli uomini gli ordini di Messi, purtroppo imbrigliato nel ruolo di giocatore-allenatore-erede di Maradona. Sampaoli fa i bagagli e torna a pettinarsi le sopracciglia


Uruguay-Portogallo 2-1
Stadio Olimpico Fisht (Sochi), 30 giugno

Che l'Uruguay la squadra più vera, con i giocatori più giusti a quello che gli viene chiesto di fare, con l'allenatore più illustre di questa Coppa del Mondo e con addosso una camiseta dalla gloria che dona fascino soltanto a guardarla, è stato già detto.
Vedere Cavani e Suarez lottare e difendere ogni palla, poi scambiarsela, e poi vedere il primo dei due andare a buttarla in rete, una volta con un colpo di collo e un'altra volta con uno splendido piatto destro di prima intenzione con effetto a giro, è stato altrettanto formativo. Puoi aver fatto caterve di gol e puoi voler giocare altre caterve, ma se non scendi in campo per e con la tua squadra allora è  inutile pensare alla vittoria finale del torneo. Cosa che l'Uruguay può fare, e che invece il Portogallo non può più nemmeno immaginare, visto che i suoi finti attaccanti sono stati quasi bullizzati dalla pelosa difesa celeste e visto che l'unico gol realizzato stato opera di un difensore che ha come hobby l'infamia: Pepe.

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Spagna-Russia 5-4 d.c.r.
Stadio Luzhniki (Mosca), 1 luglio

La Spagna ha fatto la partita, soltanto non si è capito che partita volesse fare. Ha segnato grazie ad un autogol, e rimasta a gigioneggiare nei propri spazi, quindi si è fatta pollare subendo il gol dell'1-1 e poi ha attaccato con più o meno pericolosità per tutto il resto della partita, supplementari compresi. Fino ad arrivare alla psicodrammatica lotteria dei calci di rigore: sbagliano Koke e Iago Aspas, Akinfeev para in stile perfettibile e così la Russia, Putin, Salvinimerda e "All the things she said" dei Tatu finiscono ai quarti di finale. Lì dove, ad affrontarle, troveranno le sanzioni Ue.


Croazia-Danimarca 4-3 d.c.r.
Stadio Nizhny Novgorod (Nizhny Novgorod), 1 luglio

Da questo punto in poi ho smesso di scrivere, sono passati giorni, nel frattempo il Mondiale però non mi aspettava e continuava a proporre calcio vero, magari non di livello eccelso, ma emotivamente reale, com'è reale la vita quando alla fine vince comunque il più forte.
Prendete la Croazia: subisce un gol ridicolo al 1' dal danese Jorgensen, pareggia tre minuti dopo con una rete dallo sviluppo altrettanto risibile firmata da Mandzukic, sbaglia un penalty potenzialmente tombale al 116' con Modric che tira una carezza all'ex piccolo Schmeichel, infine ribalta una situazione di svantaggio proprio dal dischetto chiudendo traumaticamente il bel tour in Russia di Eriksen e compagni, ai quali si consiglia di studiare le dimensione della porta. Ma chi se ne frega: dovevano giocare la Coppa del Mondo e divertirsi, non la dovevano mica vincere.


Brasile-Messico 2-0
Samara Arena (Samara), 2 luglio

Questa l'ho vista a tratti male, e a tratti peggio, essendo abbastanza impegnato a lavoro, che comunque di per sé è già una notizia. Ricordo comunque un Brasile evidentemente forte contro un Messico davvero ben messo in campo, e ottimamente difeso dal suo guardiano Ochoa. A sbloccare la gara è quindi Neymar con un tocco a porta vuota eseguito quasi rotolando a terra, mentre in chiusura arriva il raddoppio finale di Firmino. Non molto da dire, se non "Salvini merda". Anzi, no: Willian è l'uomo in più di questa squadra, e la sua è stata davvero una grande stagione. Peccato non sia credibile con quei capelli.


Belgio-Giappone 3-2
Rostov Arena (Rostov sul Don), 2 luglio

Partita tra le cinque-sei indimenticabili che tramanda ogni competizione di questo tipo. Al 68' il Giappone era avanti per 2-0, ed anche i più scettici sulla validità del movimento calcistico giapponese (gente secondo cui dei nani gialli non possano fare troppa strada in ambito internazionale) parevano ormai convinti che la selezione di Nishino avesse portato a casa l'impresa storica dei quarti di finale.
Neanche per il cazzo: prima la casuale giocata di testa dello scarso difensore Vertonghen, con l'aiuto del portiere taglia S Kawashima, poi la schiacciata aerea del risoluto Fellaini pareggiavano in cinque minuti la contesa. Si arriva così al 93' e svariati secondi, ultimo minuto di recupero: il Giappone si butta avanti per un calcio d'angolo offensivo, «hai visto mai che la buttiamo dentro con tutti questi droni che abbiamo in squadra...» pensano i giocatori del Sol Levante, ma perdono presto palla e con un contropiede oggettivamente perfetto ecco il Belgio vincere 3-2 grazie all'appoggio di Chadli. C'è modo e modo di perdere, e il Giappone ha scelto, come spesso fa, il più doloroso.

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Svezia-Svizzera 1-0
Stadio San Pietroburgo (San Pietroburgo), 3 luglio

Gara indecente tra squadre indecenti, per questo livello calcistico, ma nelle ultime sedici qualcuno deve pure arrivarci e se ci ci arriva qualche merito bisognerà anche riconoscerglielo. Il primo, alla Svezia, è quello di aver buttato fuori l'Italia e averci permesso così un approccio a questi Mondiali libero da caseitalia, inviati 24h ai cancelli di caseitalia, il cuoco di casaitalia, gli spifferi di casaitalia. Il secondo merito, sempre della Svezia, è aver eliminato la Svizzera, francamente un ornamento del tutto fumoso e inutile nei giochi pallonari tra nazionali. La partita, come detto, è brutta e la decide un tiro di Emil Forsberg deviato da qualche elvetico deambulante, tiro che altrimenti sarebbe finito in bocca al portiere. Perché la Svezia, in fin dei conti, è un bel gruppo di gente scarsa.


Colombia-Inghilterra 4-5 d.c.r.
Spartak Stadium (Mosca), 3 luglio

L'Inghilterra non vinceva una sfida a eliminazione diretta da non so più quanti anni, probabilmente da quando ho iniziato a scrivere questo post. Gli è riuscito, infine, in una serata in cui ha segnato soltanto su rigore. Per la Colombia molto rammarico, ma in fin dei conti meglio poter vedere in campo ancora Kane e non Bacca.

giovedì 28 giugno 2018

Questi grandissimi Mondiali 2018: la leva semplicistica dell'82


Si sono disputate le ultime quarantotto ore della fase a gironi di Russia 2018. Oggi è il primo giorno di riposo totale, per gli spettatori, dall'inizio del torneo; ossia il giorno in cui si comincia a prefigurare ciò che sarà un minuto dopo l'assegnazione della Coppa del Mondo. Chi ce l'ha tornerà alla propria vita anche nella fascia 16.00-22.00, e chi non ce l'ha proverà a ricavarsene una.
Nelle otto gare che hanno contribuito a disegnare lo schema degli ottavi di finale ne sono accadute di cose, a partire dalla notizia certamente più importante: che non è l'eliminazione della Germania ultima nel suo gruppo, bensì la scoperta della diatriba tra chi ha goduto spassionatamente della debacle crucca e chi invece ne ha disossato l'innocente euforia eversiva brandendo l'arma della mancata qualificazione italiana alla competizione. E chi se ne frega! Lo sappiamo bene che i Mondiali sono belli anche senza gli azzurri, ma non esiste nessun vizio di disonestà intellettuale nell'avere simpatie o antipatie verso le altre nazionali presenti. Nessuna infantile metafora politica, nessun macchiettistico senso di vendetta stile "Ci vediamo in spiaggia"... Semplicemente il piacere, quando capita, nel poter vedere sconfitti i favoriti. Rivediamo questo e (poco) altro.

(gruppo F) 27 giugno
Corea del Sud-Germania 2-0 / Messico-Svezia 0-3

Mentre la Svezia faceva inspiegabilmente a fette un Messico quasi spaventato e timoroso come se di fronte avesse Skoglund e Liedholm invece di Ekdal e Forsberg, molti giocatori della Corea del Sud erano impegnati nell'ormai nota attività di surplus agonistico finalizzato ad evitare la convocazione obbligatoria al servizio militare grazie ai meriti sportivi. E aver ridicolizzato Neuer rubandogli la palla nella metà campo di attacco della Germania, in un goffissimo dribbling tentato da uno che spesso dimentica di essere un portiere, beh è stata certamente una medaglia al valore sportivo.

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(gruppo E) 27 giugno
Serbia-Brasile 0-2 / Svizzera-Costa Rica 2-2

Inaspettatamente la Serbia va a casa, segno che fare i fighi alla prima partita del Mondiale può voler dire molto poco. Soprattutto se davanti Mitrovic è in stile Erjon Bogdani con la maglia del Chievo Verona. Così, mentre la Svizzera fa un po' di petting con il Costa Rica e si prepara ad un ottavo di finale non esattamente proibitivo contro gli svedesi, il Brasile di Neymar, e soprattutto di Coutinho, ricorda di essere una formazione che può prendere a pallonate chiunque.


(gruppo H) 28 giugno
Senegal-Colombia 0-1 / Giappone-Polonia 0-1

Il dramma del fair-play, qualsiasi cosa questo termine voglia dire, nella sua massima espressione. Non accadeva infatti dal 1982 che il continente africano sparisse completamente dalla Coppa del Mondo già nella fase a gironi (occasione in cui Pertini coniò lo storico motto social: «Quando un governo non fa ciò che vuole il popolo...continua la frase come vuoi tu»). Ultima vittima il Senegal: potenziale enorme e sprazzi di buon calcio nelle prime due gare, vanificati per intero in pochi minuti da un gol evitabilissimo dell'ormai difensore-bomber colombiano Yerry Mina e dal successo polacco sul Giappone a Volgograd, che ha reso ancor più ridicola l'eliminazione di Koulibaly e compagni. Costretti a pari punti e pari differenza reti e gol fatti nello scontro diretto, i nipponici hanno superato i senegalesi per le meno ammonizioni ricevute. Come se, tra due centometristi arrivati insieme sul traguardo, fosse premiato con la medaglia d'oro quello che ha corso meglio e ha sudato meno.

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(gruppo G) 28 giugno
Panama-Tunisia 1-2 / Inghilterra-Belgio 0-1

Serata utile solo ad eleggere chi, tra le già qualificate Inghilterra e Belgio, fosse pronto a caricarsi di rodimenti e recriminazioni per aver preferito, al primo posto nel girone e ad un ottavo di finale forse più agevole (Giappone), una parte di tabellone sulla carta meno complicata ma con nell'immediato un ottavo di finale decisamente più ostico (Colombia).